Stabilizzazione dei rapporti con vincolo di "precedenza"


Il Ministero del Lavoro, nell’interpello n. 7 del 12 febbraio 2016 , ha chiarito che il datore di lavoro può fruire dell’esonero contributivo per un’assunzione o per la trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto se un altro lavoratore a termine (cessato o con contratto a termine ancora in corso) non ha esercitato il diritto di precedenza prima della nuova assunzione.

Poiché dunque anche nel caso della stabilizzazione di lavoratori a termine spetta lo sgravio contributivo confermato dalla legge di Stabilità 2016 (articolo 1, commi 178-181, Legge n. 208/2015), è necessaria una valutazione su quando scatti il diritto di precedenza e quali siano i criteri da adottare nel caso si debba scegliere, per l’assunzione, tra più lavoratori a termine. 

Il lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, ha prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro nei successivi 12 mesi con riferimento alle mansioni già espletate, salvo diversa regolamentazione della contrattazione collettiva, anche aziendale. 

Alle lavoratrici è inoltre riconosciuto il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo determinato nei successivi 12 mesi per le mansioni già espletate in esecuzione di contratti a termine, mentre il congedo di maternità concorre a determinare il periodo di attività utile a conseguire il diritto di precedenza.

Quest’ultimo, poi, trova una sua specifica regolamentazione nel lavoro stagionale, ove il lavoratore ha diritto di precedenza rispetto alle assunzioni a termine effettuate dallo stesso datore di lavoro per le stesse attività (articolo 24 del Dlgs 81/2015).

Nella pratica per esercitare il diritto di precedenza il datore di lavoro, in pratica, è obbligato a preferire il lavoratore già assunto a termine, se intende stipulare un contratto a tempo indeterminato o, nei casi previsti, a tempo determinato.

Il datore deve richiamare espressamente il diritto di precedenza nell’atto scritto con il quale viene fissato il termine del contratto.

Il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 18/2014, ha chiarito che la mancata informativa al lavoratore non appare specificatamente sanzionata. Tutt’al più il lavoratore potrebbe agire in giudizio per ottenere il ristoro dei danni in via equitativa per mancata informazione. 

Il diritto di precedenza può essere esercitato a patto che il lavoratore manifesti per iscritto la sua volontà entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro (tre mesi in caso di lavoro a termine stagionale). Questo diritto, poi, si estingue trascorso un anno dalla cessazione del rapporto di lavoro. Il diritto di precedenza, dunque, si costituisce con la volontà espressa per iscritto nei termini di legge. 

In mancanza o nelle more della manifestazione scritta di questa volontà, il datore di lavoro può legittimamente procedere all’assunzione di altri lavoratori o alla trasformazione di altri rapporti di lavoro a termine in corso (sia che il contratto a termine di durata superiore a sei mesi sia cessato, sia che trascorsi i sei mesi sia ancora in corso), potendo godere anche degli incentivi previsti dalla legge di Stabilità 2016.

Nel silenzio della normativa, laddove il datore di lavoro violi il diritto di precedenza, tenuto conto che i terzi non possono subire, in generale, effetti negativi dalla violazione di obbligazioni esistenti tra due parti, si escludono conseguenze sul rapporto di lavoro instaurato in violazione.

La giurisprudenza maggioritaria più recente, poi, esclude la costituzione del rapporto di lavoro in forma specifica ammettendo solo un diritto al risarcimento del danno.

Tra le problematiche non chiarite dalla nuova normativa c’è infine la questione di come comportarsi quando il datore di lavoro si trovi a dover rispettare più diritti di precedenza (lavoratori a termine, part-time e così via). In generale, salvo diversa regolamentazione della contrattazione collettiva (anche aziendale), il datore di lavoro dovrà fare riferimento al criterio generale della buona fede oggettiva, intendendosi per tale il dovere di correttezza e di reciproca lealtà di condotta nei rapporti tra i soggetti.

Si ritiene quindi che il datore di lavoro operi correttamente se procede alla scelta del lavoratore da assumere usando criteri oggettivi quali ad esempio l’anzianità aziendale e i carichi di famiglia.


07/03/2016