L'obbligo di repechage in caso di licenziamento


La Corte di Cassazione, con sentenza n. 5529/16 del 22 marzo 2016 ha riproposto la nozione di obbligo di repechage e del relativo onere probatorio soprattutto in virtù di quanto stabilito dalle novità normative del Jobs Act.

In vero, in caso di licenziamento oggettivo, l’onere della prova dell’impossibilità di diverso utilizzo del lavoratore all’interno dell’azienda è da sempre in capo al datore di lavoro, così come previsto e stabilito dall’articolo 5 L. n. 604/66. 

La giurisprudenza della Suprema Corte, fino ad oggi, ha però attenuato l’onere probatorio del datore di lavoro in tema di obbligo di repechage, circoscrivendo la prova alla dimostrazione dell’impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre mansioni, e sostenendo che doveva essere il lavoratore ad indicare, nel ricorso proposto per l’impugnazione del licenziamento, le mansioni nelle quali riteneva di poter essere nuovamente adibito.

La Corte di Cassazione, però, con sentenza n. 5529/2016 ha affermato che l’onere probatorio in merito all’obbligo di repechage sussiste solo in capo al datore di lavoro, escludendo qualsiasi dovere od obbligo in capo al lavoratore e ponendosi in contrasto con il precedente orientamento giurisprudenziale. 

In vero, secondo quanto stabilito dalla suddetta sentenza, in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo spetta al datore di lavoro provare tutti gli elementi costitutivi del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, inclusa l’impossibilità di un diverso utilizzo del lavoratore (obbligo di repechage), con esclusione di un onere di allegazione, riguardo al lavoratore, delle relative mansioni presenti all’interno dell’azienda a cui lo stesso poteva essere adibito, essendo, tale tesi, “contraria agli ordinari principi processuali una divaricazione tra i due suddetti oneri, entrambi spettanti alla parte deducente”.


30/03/2016