Diritto al trasferimento del lavoratore che assiste un familiare


Sentenza Consiglio di Stato n. 8527/2010

La legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale ed i diritti delle persone handicappate, legge n. 104 del 5 febbraio 1992, da ultimo modificato dalla legge n. 183 del 2010 il cd. Collegato Lavoro, tra le disposizioni dettate per la tutela di tali soggetti, prevede una serie di agevolazioni per i lavoratori, pubblici e privati, in caso di assistenza a familiari con handicap in situazione di gravità, a condizione che la persona disabile non sia ricoverata a tempo pieno; la situazione dell’handicap assume connotazioni di gravità qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione. 

Tra le agevolazioni, l’art. 33 prevede altresì il diritto per il lavoratore che si trova in questa particolare situazione di scegliere ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 8527/2010 verte su un provvedimento di diniego di un’istanza di trasferimento presentata, a normativa previgente alle modifiche introdotte dal Collegato ed in forza della quale il diritto della scelta del trasferimento doveva ricadere sulla sede più vicina al proprio domicilio, all’Amministrazione penitenziaria ai sensi della legge n. 104/1992, fondato sull’inesistenza del requisito della continuità ed attualità dell’assistenza al momento della proposizione della domanda.

In particolare il Collegato Lavoro, oltre ad avere meglio chiarito quelli che sono i destinatari dell’agevolazione, precisa che la sede oggetto del trasferimento è quella più vicina al domicilio dei familiari con handicap da assistere, al fine di garantire una più agevole cura del disabile: tale norma, rispondendo ovviamente all’esigenza di tutela del disabile, riconosce al lavoratore un diritto che può essere mitigato solo in presenza di circostanze oggettive impeditive, come può essere ad esempio la mancanza di un posto nell’organizzazione organica dell’azienda, e che non può essere subordinato a valutazioni discrezionali o di opportunità dell’Amministrazione.

Nella sentenza in commento il TAR ha respinto il ricorso dell’appellante avverso il diniego dell’Amministrazione richiamando la normativa e la giurisprudenza ad essa applicata, sulla base della quale si evince che il principio dell’accoglimento della richiesta di trasferimento del pubblico dipendente nella sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, formulata ai sensi dell’art. 33 comma 5 della legge 104/1992, presuppone la rigorosa dimostrazione da parte del lavoratore, della continuità dell’ assistenza a familiari con handicap: circostanza smentita dal TAR dalla rilevante ed eccessiva distanza tra la sede di lavoro e la residenza della parente disabile, la prima trovandosi in Calabria  e la seconda in Sicilia.

Avverso tale sentenza il dipendente, ricorrente, ha proposto appello, deducendo la violazione dell’art. 33 della citata legge: in particolare sostenendo che la distanza intercorrente tra la sede di lavoro e quella di residenza del disabile intercorre una distanza di non più 180 Km, percorribili in pochissime ore con un normale autoveicolo.

Secondo il ricorrente quindi il dato temporale e spaziale non poteva essere considerato idoneo a giustificare un giudizio di assenza del requisito della continuità dell’assistenza, a ciò si aggiungeva poi il fatto che tutte le attestazioni allegate al ricorso evidenziavano tale continuità dell’assistenza al disabile.

Il Consiglio di Stato ha respinto tale appello, ritenendolo infondato sulla base dei seguenti motivi.

L’art. 33 della legge 104/1992, riconoscendo il diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, va letto con un certo rigore, che consenta di conciliare i contrapposti interessi, pubblici e privati, in essa coinvolti ed eviti i ripetuti “abusi” del diritto in esso riconosciuto, con l’invenzione, ad esempio, di situazioni di assistenza soggettivamente o oggettivamente inesistenti, ovvero l’improvvisa  sospetta riscoperta di solidarietà familiare.

Nel caso di specie l’Amministrazione ha ritenuto che mancasse il requisito della continuità assistenziale, mancanza comprovata dalla distanza tra sede di servizio e residenza del della disabile: secondo il Consiglio di Stato infatti non è verosimile né credibile, secondo le regole della normale esperienza, che un dipendente, considerata la distanza fra la sede di servizio ed il luogo di residenza del disabile, presti a quest’ultimo un’assistenza con continuità, dal momento che fra andata e ritorno non può intercorrere un tempo inferiore alle quattro ore, un tempo evidentemente inconciliabile con un’effettiva ed utile assistenza.

Il Consiglio di Stato ricorda comunque che la pretesa del lavoratore in caso di effettiva assistenza a familiari con handicap alla scelta della sede di lavoro deve trovare accoglimento solo se risulta compatibile con le specifiche esigenze funzionali dell’Amministrazione di appartenenza e che, ai fini della fruizione del beneficio del trasferimento, spetta al dipendente dimostrare, mediante dati utili o riferimenti oggettivi, che altri parenti o affini non siano in grado o comunque non siano motivatamente e documentatamene disponibili ad occuparsi dell’ assistenza del disabile; tale dimostrazione non può essere data mediante semplici dichiarazioni di carattere formale, attestanti impegni di vita ordinari e comuni, ma necessita della produzione di dati ed elementi certi e di carattere oggettivi.



11/04/2011